(Foto manifestazione Arci per i due ragazzi assaliti sulla riviera di Pescara)

Troppo spesso la cronaca deve interessarsi di “bulli” che, per il fatto di frequentare una palestra di arti marziali, esprimono contro persone inerme e sconosciute la loro capacità di colpire e di far male.

Questi “psicopatici” che nulla hanno capito della vera filosofia insita nelle arti marziali non fanno che offendere, oltre a chi è vittima della loro ignoranza, anche i veri cultori delle arti marziali.

Commentando con una “cintura nera”, conosciuta allo stabilimento balneare Plinius, l’ultimo fatto di cronaca registrato a Pescara, mi sono fatto una “piccola cultura” in merito per poter stigmatizzare, con cognizione di causa, il comportamento demenziale di questi bulletti.

Il lemma “arti marziali” evoca nell’immaginario comune luoghi esotici, tecniche di combattimento più o meno raffinate di provenienza cinese, coreana, thailandese o giapponese, insegnamenti elargiti da vecchi maestri che dispensano massime di saggezza.

All’estremo opposto, veicola immagini talvolta brutali di volti insanguinati e atleti muscolosi che si affrontano sul ring o in gabbie, senza esclusione di colpi.

In realtà parlare di arti marziali o di discipline di combattimento, oggi, coinvolge una pluralità di dimensioni e di ambiti, più numerosi e variegati rispetto alla visione oleografica di alcuni decenni fa.

Molte delle discipline che oggi sono praticate per lo più come forme di educazione psicofisica hanno avuto l’effetto di mescolare stili e ampliare il bagaglio tecnico di molti praticanti - atleti, demistificando una certa retorica sulle potenzialità e le prestazioni dei diversi stili.  

Il fascino e pure il falso misticismo di un genere narrativo, spesso per colpa di film di cassetta, hanno anche lasciato il campo, in alcuni casi, a un rozzo machismo.  

Ci si può legittimamente chiedere se abbia senso un accostamento tra la pratica di pensiero che definiamo filosofia e l’insieme di esperienze legate alle cosiddette arti marziali. Sfrondato il campo da ogni istanza apologetica, si potrebbe rispondere che la filosofia, in quanto forma di indagine razionale, si applica a qualsiasi oggetto e contesto e, nel suo applicarsi a ogni esperienza umana, permette al soggetto interrogante di investire sé stesso in quel medesimo domandare.

Una filosofia delle arti marziali andrà quindi intesa come una riflessione che lascia emergere il pensiero intrinseco veicolato dalle stesse discipline, come se fossero le stesse arti a essere dotate di una filosofia implicita.  

Ciascuna disciplina può essere studiata e praticata in vari modi e secondo differenti prospettive, che spesso variano da praticante a praticante anche per una medesima arte che deve portare alla crescita fisica e morale del praticante.

Il praticante di arti marziali deve rispettare la vita umana, perché la disciplina sportiva trae origine proprio dall'esigenza di proteggere la vita propria e del prossimo. I principi morali forniscono le basi per il mantenimento di relazioni stabili tra gli uomini, e quindi tra l'uomo ed il contesto sociale.

I valori morali promossi dagli insegnanti di arti marziali ti fanno capire il rispetto per gli avversari, sul tatami e nella vita, per rimanere degno sia nella vittoria che nella sconfitta. 

Inoltre, più vai avanti nella pratica, e più sviluppi l’intelligenza, la saggezza e il controllo che saranno poi prevalenti rispetto alle capacità fisiche.   

Questa disciplina ti permette di concentrare le tue energie e di trasformare l’aggressività in una combattività controllata che ti serve anche nella vita. 

Il dovere di ogni praticante, che sia allievo o maestro, è credere e interpretare questi principi per essere un modello per gli altri e trasmettere l’interesse per le arti marziali ma anche le regole di “buona condotta”. Infatti, chi pratica le arti marziali deve essere ambasciatore della disciplina.

Nessuno può pensare di essere un guerriero nel senso nobile, se non ha una condotta esemplare.

Pertanto, questi bulletti non sono degli atleti, non sono dei guerrieri che praticano arti marziali, ma dei delinquenti che dovrebbero essere allontanati, subito, dalle palestre in cui si allenano.

Sarebbe dovere di ogni insegnate “cacciare” dalla propria palestra chi si rende autore di atti come quelli capitati a Pescara.

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