La storia dell’individuo, secondo il pensiero di molti, non avrebbe alcun senso se finisse nella morte, se questa fagocitasse tutto senza lasciare aperto un orizzonte d’immortalità. Afferma Lombardi Vallauri, che la storia, senza l’immortalità, sarebbe solo un “suono che si spegne nella sordità universale”.

   Gli uomini dunque, cercano di trovare il senso del loro agire anche nell’immortalità, dove non vi è appiattimento dell’individuale, ma un ingrandimento degli orizzonti che preserva la ricchezza e i colori dei particolari.

   Parlando di immortalità non può certo venire alla mente  un’unica immagine, in quanto, in base alla fede, alle idee, alla sensibilità personale, un tale concetto acquista forme diverse.

Tra queste, certamente molto diffusa, è la sopravvivenza che i defunti acquisiscono mediante il ricordo dei superstiti; fin quando c’è qualcuno che ricorda, l’esistenza è assicurata ed ecco perché acquistano un così grande significato il fare memoria degli eventi, il conservare gelosamente tante tradizioni, il tramandare con un rispetto ‘sacrale’ i principi, i valori trasmessi dal proprio nucleo familiare o sociale.

   Quando il filo della memoria si spezza, ecco che sopraggiunge la morte definitiva sul piano umano, ecco che la tomba “illacrimata” di foscoliana memoria diventa veramente vuota e inutile, in quanto nessuno vi si reca per intrecciare un colloquio affettivo con l’estinto, che per la disincantata ragione resta un “cenere muto”, ma che l’affetto e la memoria possono trasformare in un vitale e prezioso interlocutore.

   Occorre guardare attentamente il potere implicito nel ricordo come fonte di sopravvivenza per gli uomini, in quanto il venire meno di esso non determina solo la morte definitiva dell’estinto, dell’Altro, ma anche, in un certo senso, la Nostra stessa morte; la mancanza del pensiero e del ricordo da parte dell’Altro, a causa della sua scomparsa, genera  in noi la morte, ci priva di quella realtà che solo l’Altro poteva darci.

   A questo punto viene da dire che la cosa migliore sarebbe un'accettazione serena del fatto che, comunque dovrà accadere...

   Ben detto, figliolo, la serenità può nascere solo interpretando la vita come un percorso, il cui valore non è dato dal tempo, dalla durata, dalla quantità, ma dalla qualità dell’attimo presente, dalla ricchezza di un presente che sappia sempre abbracciare “il passato con il ricordo, e il futuro con l’attesa”; di un presente quindi che tenta di scoprire il segreto della morte cercandolo nel cuore della vita, poiché, come sostiene il poeta Gibran, la vita e la morte sono una sola cosa, come lo sono il fiume e il mare.

   Forse la serenità s'intravede dietro l’accettazione di queste immagini, che, per quanto avvertite dalla ragione umana come paradossi, possono stimolare l’uomo a non fuggire la morte, ma a viverla, nella certezza, indubbiamente non razionale, che con essa la ‘partita’ non è affatto conclusa: “Solo se berrete al fiume del silenzio, potrete davvero cantare. E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora incomincerete a salire. E quando la terra esigerà il vostro corpo, allora danzerete realmente”.

Tornando, papà, a ciò che ci ha insegnato nelle ore di religione all’Acerbo don Zante, quel tuo amico sacerdote triestino della chiesa del Sacro Cuore, che, mi hai detto una volta, ha celebrato il matrimonio tra te e mia madre, che Gesù disse: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola".

Cioè ha voluto dire che le sue pecore ascoltano la sua voce.

E mio padre, che aveva tutta una sua cultura, potrei definire atea, visto che professava una fede sincera nel Comunismo, partito in cui era tesserato fin dal 1928, dopo la scissione di Livorno, ma che aveva anche una sua libertà di pensiero arricchita dalla lunga esperienza di vita vissuta non sempre in facili situazioni, con estrema tranquillità, ebbe a dirmi: "Facile intuire che il primo di tutti i servizi da rendere a Dio e all'uomo è l'ascolto. Il primo strumento per tessere un rapporto. Ascoltare qualcuno è già dirgli: tu sei importante, tu mi interessi. Amare è ascoltare. Pregare è ascoltare Dio."

"E allora, dimmi, tu credi in Dio? Credi che la sua voce meriti di essere ascoltata?"

"Figlio caro, spesso parliamo e giudichiamo per stereotipi. Facile dire, con una valutazione superficiale se sei comunista non sei con Dio e la Chiesa ti ha scomunicato non accettando che tu possa vivere una tua realtà di fede privata e personale che non si allontana da Dio e dai suoi insegnamenti. Perché un conto è ciò che giudica e dice l'uomo, in questo caso il sacerdote, un altro è ciò che Dio ha in animo per te. Posso ricordarti che Giovanni XXIII nell’enciclica Mater et Magistra del 1961 scriveva: “Nell’epoca moderna varie ideologie sono state elaborate e diffuse a tale scopo (ordinamento della convivenza): alcune si sono già disciolte, come nebbia al sole; altre hanno subìto e subiscono revisioni sostanziali e altre hanno attenuato di molto e vanno ulteriormente perdendo le loro attrattive sull’animo degli uomini. La ragione è che sono ideologie che dell’uomo considerano soltanto alcuni aspetti e, spesso, i meno profondi. Giacché non tengono conto delle inevitabili imperfezioni umane, come la malattia e la sofferenza; imperfezioni che i sistemi economico sociali anche più progrediti non possono eliminare. Vi è poi la inestinguibile esigenza religiosa che si esprime ovunque e costantemente, anche quando è conculcata con la violenza o abilmente soffocata” 

Due anni dopo, nella “Pacem in terris” andava ancora più in là: “Va altresì tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi.

Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi alla retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?” 

Il riferimento al comunismo era chiaro.

Un conto dunque è l’ideologia: sempre insostenibile. Un altro conto sono i movimenti che da essa si sono inizialmente ispirati e che oggi da essa si sono parecchio allontanati.

"Quindi, papà, un comunista può anche non essere ateo?

Ti dico il mio pensiero: Che il materialismo storico spinga ad una attenta osservazione laica del mondo è vero. Che induca per “vocazione” filosofica o scientifica all’ateismo non credo si possa affermare.  Vivo, da agnostico, tutto il mistero dell’esistente e, quindi, non sposo l’apriorismo tanto della credenza religiosa quanto dell’ateismo preconcetto.

Non affermo e non nego ciò che mi è inconoscibile. Provo a vivere con un regime etico piuttosto che religioso e lo faccio pensando che il senso, se proprio uno bisogna trovarlo, della vita stia nel migliorare l’incomprensibile esistenza dell’essere. Inteso cosmologicamente. Un tutto che si particolareggia nel nostro quotidiano miserrimo agli occhi di una coscienza che forse esiste o forse no: la coscienza dell’universo di cui facciamo parte. In tutto questo speculare non trovo, come vedi, contraddizione tra il credere in un dio o meno e l’essere comunista, quindi in una analisi classista e marxista delle dinamiche sociali ed economiche."

"Credo di aver capito anche se non mi è chiaro tutto..."

"Insomma, figliolo caro, senza entrare in disquisizioni teologiche che non è il caso di sollevare, per rispondere alla tua domanda, ti dico solo che, per quanto mi riguarda personalmente, ho fede nel mio partito, perché lo considero utile per dare libertà e coscienza sociale ai poveri e ai meno abbienti, ma ho fede in Dio che non posso e non voglio considerare partigiano di questa o di quella corrente di partito.

Dio e Cristo sono al di sopra di tutti noi e la legge di Dio è una e sacra, a mio modo di vedere, e non può essere confusa o limitata dalla legge degli uomini anche se essi sono uomini di chiesa. A loro è facile dire che essendo comunista sono contro Dio, ma che ne sanno di quelli che sono i miei più riposti pensieri e i miei veri sentimenti? A volte, vedendoli come agiscono e sentendoli parlare, mi rendo conto di essere più vicino a Dio io comunista che essi che pure indossano la veste, e non sempre, della Chiesa."

Lo ascoltavo con molta attenzione e mi resi conto del travaglio interiore che mio padre viveva diviso tra la fede politica e quella religiosa e mi parve di poter accettare l'idea che ognuno è padrone dei suoi sentimenti e che non spetta ad altri, anche se preti, decidere se possono o no stare vicino a Dio.

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