Alcuni giorni fa Pier Paolo Marchetti, che tutti conoscono in Abruzzo per essere stato per anni redattore del quotidiano Il Messaggero e attualmente opinionista televisivo, ha voluto regalarmi un romanzo, “Il figlio del padre” di un autore spagnolo di successo, Victor del Arbol, che con questo suo più recente (odio dire ultimo) libro e ha vinto la prima edizione del premio Blacklladolid a Valladolid in Spagna.

Di questo libro, del quale dico subito che è stupendo, e che mi ha avvinto e preso tanto da leggere le sue 410 pagine in pochi giorni, è stato tradotto da Pier Paolo Marchetti che da qualche anno fa il traduttore professionista ed ha al suo attivo decine di romanzi.

Da sempre Pier Paolo ha avuto amore per la letteratura e dai mondiali del 1990 ebbe contatti con colleghi spagnoli e si innamorò della lingua castigliana e fu gioco forza che questo amore lo coinvolgesse nel desiderio di tradurre quei suoi amati romanzi in italiano.

Non sto qui, in questa sede provinciale, a parlare molto del romanzo di Victor del Arbol, anche perché ne hanno parlato e scritto fior di redattori delle pagine letterarie di tutto il mondo. Posso brevemente dire che

libertà, violenza, nodi generazionali, sono molti i fili rossi che si intrecciano in questo romanzo devastante. Ai giorni nostri Diego Martín uccide un uomo: i fatti sono chiari. Quello che invece si scopre andando avanti nella lettura è scoprire le motivazioni che spingono il tranquillo e scialbo professore universitario a compiere quel gesto.

Diego Martín è un professore universitario al culmine dell'ascesa sociale fino al momento in cui uccide un uomo. Le ragioni di questo gesto - fuori da ogni logica apparente - risalgono indietro nel tempo ed è nel racconto della sua storia familiare che, alla fine, scopriremo i segreti che hanno condotto una persona tranquilla a trasformarsi in un crudele omicida.

Figlio di immigrati poverissimi, giunti a Barcellona negli anni Cinquanta dalla campagna, Diego non ha mai superato il ricordo dello squallore, delle umiliazioni e delle ferite subite soprattutto da parte di suo padre. Di quell'uomo, vittima di una maledizione che sembra colpire i maschi della sua famiglia, ciò che resta è un'eredità fatta solo di sopraffazione e per il protagonista il desiderio più forte è sempre stato quello di non diventare mai come lui. Per questo se ne è andato di casa che era ancora giovanissimo e ha compiuto ogni sforzo per essere ciò che è ora. Invece, la notizia della morte del padre, che non vede da vent'anni, lo fa precipitare di nuovo in quell'inferno. Tornare in Estremadura, per gestire un'eredità che gli è stata assegnata proprio da quel genitore ripudiato, lo obbliga a rivangare il passato per chiudere i conti con la madre e i fratelli e, soprattutto, con il fantasma che lo perseguita. Per far ciò il prezzo da pagare è però altissimo: diventare il figlio di suo padre...

L’autore ci regala un campionario di ritratti umani decisi, estremi, raccontato con durezza e anche con una certa crudeltà, laddove questa si renda necessaria.

Il rapporto tra il figlio e il ricordo del padre secondo Sigmund Freud,  è improntato principalmente sulla rivalità: tutto inizia con una visione del padre, da parte del bambino, come modello da imitare; crescendo, il padre diviene un ostacolo e un limite da superare da cui, infine, distaccarsi, ma nel caso di Diego Martin tutto diventa tragicamente difficile se non impossibile.

Ma la chiave di tutta la storia è Liria, altra sorella di Diego. Carattere molto particolare, è anche affetta da gravissimi problemi fisici che l’hanno portata in passato a dipendenze varie e guai con la giustizia. In età adolescenziale ha anche denunciato il padre per molestie sessuali (che poi scopriremo inesistenti), perdendo però il processo contro di lui.

Liria è molto legata a Diego, l’unico che l’ha sempre ascoltata e che continua a occuparsi di lei anche dopo che è stata ricoverata in una clinica psichiatrica.

Nel giro di breve tempo, la vita di Diego è sconvolta: prima viene lasciato dalla moglie, poi diventa un assassino perché decide di farsi giustizia da solo quando scopre che Martin Pearce, l’infermiere che si occupa di Liria in clinica, abusa di lei approfittando del suo stato di totale incoscienza.

Leggendo, e conoscendo da moltissimi anni Pier Paolo che, giornalisticamente nacque nella mia redazione di 7Giorni7, sono stato travolto da mille emozioni sapendo bene che il successo di questo romanzo, in Italia, è da accreditare anche e soprattutto alla bravura di Pier Paolo come traduttore.

Un traduttore professionista deve stupire esattamente come uno scrittore di successo.

I traduttori ambiscono a tradurre lo scrittore e immedesimarsi nei segreti della scrittura, traducendo. Se è vero che il traduttore non avrebbe professione senza lo scrittore, la scrittura non avrebbe potuto varcare i confini delle lingue esistenti, senza un buon traduttore. E infatti ho chiesto a Pier Paolo quanto ci fosse di suo nel libro tradotto e certo dell’assioma che le traduzioni sono come le donne: Se belle non sono fedeli... come dire che una buona traduzione, presuppone una presenza attiva dello spirito del traduttore e mi ha risposto: “In effetti sarebbe un discorso lungo ed interessante.”

Lo spazio tiranno, come sempre, mi impone di chiudere qui questa nota ma non senza esortarvi prima a procurarvi la lettura di questo romanzo tradotto da Pier Paolo Marchetti che, considerare giornalista sportivo, sminuisce di molto la sua caratura letteraria.

  

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