Sono nell’ufficio di un dirigente sportivo e parliamo di scuole calcio.

“Conoscendo la tua grande esperienza nel mondo calcistico di oggi e, soprattutto, la tua grande professionalità e correttezza, ti chiedo un giudizio su questa nuova mania di genitori che pagano per far giocare i figli.”

“Gianni, hai messo un dito su un piaga cancerosa. Questo è un grosso problema, che da diversi anni sta riguardando i settori giovanili, alcuni anche a livello professionistico. La domanda sorge spontanea: ma se i genitori pagano, ci sarà pur qualcuno che chiederà loro dei soldi. Si tratta di dirigenti disonesti, che lucrano sulla speranza di mamma e papà, i quali davanti alle prospettiva di carriera dei loro figli perdono completamente il senso dell’obiettività.”

"Su questa debolezza – aggiunsi - alcuni pseudo procuratori o giovani rampolli procuratori, crescono e si moltiplicano.”

“Certo, è un modo facile per fare soldi altrettanto facili. Con la complicità dei dirigenti, diventano consiglieri subdoli dei centinaia di genitori che ogni domenica (o in altri giorni, ogni settimana) accompagnano i figli a giocare sui campi d'Italia, con il sogno di diventare un calciatore professionista a tutti i costi.”

“Pietro, parlando con i tifosi, spesso mi dicono che per rilanciare il calcio italiano che usa troppi giocatori stranieri, dovremmo ripartire dalle giovanili.”

“Tutto giusto, per carità – mi confermò - ma in tempi di ristrettezze economiche, in pochi si chiedono quanto effettivamente pesi sulle tasche di una famiglia italiana iscrivere il proprio figlioletto ad una scuola o squadra di calcio, soprattutto nei vivai di società professionistiche. In media i genitori sono chiamati a sborsare una cifra che nella maggior parte dei casi si aggira attorno ai 250/600 euro all’anno per iscrizione e kit di abbigliamento/allenamento. Nel caso del mondo professionistico, però, questa quota va solitamente a scomparire una volta che il piccolo calciatore arriva all’ultimo anno dei giovanissimi (13 anni), dove alcuni, addirittura, sono già seguiti da un agente. Nei dilettanti, nella maggior parte dei casi, invece, il kit si paga fino agli allievi (15-16 anni di età).

Ipotizzando inoltre di “foraggiare” l’intero percorso giovanile del figlio, dai primi calci (6 anni) fino ai 18 anni di età (Juniores/Primavera), l’investimento per mamma e papà può toccare i 3 mila euro e raggiungere gli oltre 6 mila euro nel caso delle società dilettantistiche.”

“Scusami, ma come si differenziano i vari vivai?”

 “Gianni, partiamo da un importante distinguo: vivai del mondo dilettantistico e del mondo professionistico. Due universi complementari, ma al tempo stesso distinti nella loro evoluzione.

Per quanto riguarda le spese di viaggio, nel caso dei piccoli che abitano lontano dal campo di allenamento, le società professionistiche (in taluni casi anche dilettantistiche) offrono un servizio bus compreso nella quota di iscrizione.

250/600 euro all’anno, una cifra non particolarmente significativa per buona parte delle famiglie italiane, ma che per genitori con problemi economici potrebbe rappresentare uno scoglio.  

Ovviamente dando per scontato che il figlio riesca, nel frattempo, a restare nel vivaio della società professionistica percorrendo di anno in anno tutte le categorie, fino a raggiungere la primavera, l’ultimo step prima del tanto agognato salto nei professionisti. Una strada che non è assolutamente facile. Per dare un’idea della fortissima cernita, in Italia ci sono circa otto mila scuole calcio per un totale di 400 mila piccolissimi calciatori in erba. Di questi solo uno su 4-5 mila riesce ad esordire in serie A. Circa 60/80 su 300 mila. Un trend tra l’altro in calo negli ultimi anni.”

“Una percentuale bassissima che conferma che queste scuole calcio sono solo un modo di sfruttare la passione e la vanità di molti genitori.”

"Ma la vera anomalia è che nessuno denuncia il fatto. Sinceramente ho sempre trovato difficoltà a capire il perché di questa reticenza. Ci sono genitori ai quali alcuni personaggi chiedono addirittura un compenso per un eventuale provino chissà dove. E dire che ho anche chiesto tante, anzi tantissime volte a queste persone illuse e disilluse di farmi i nomi dei soggetti che adoperano questo pessimo modus operandi.

Eppure le risposte sono state sempre molto vaghe, come se, anche nella consapevolezza della truffa subita, mantenessero comunque un flebile barlume di speranza per quello che riguarda la futura e brillante carriera del proprio talentuoso figlio.”

"Questa – aggiunsi io - purtroppo, è una realtà molto presente in alcune regioni italiane e la speranza è che gli addetti ai lavori dei settori giovanili (quelli onesti e competenti) facciano quadrato, fino a seppellire (sportivamente) tutto questo malaffare, ormai ramificato in modo molto serio e pericoloso, che non fa il bene di nessuno: né dei ragazzi né tanto meno del mondo del pallone.”

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