Il muretto è stato per due decenni il simbolo della gioventù di Pescara, ma non solo. Credo che ogni città abbia avuto il suo muretto. Era qui che il pomeriggio e la sera gruppi di giovani vivevano la loro spensieratezza ed allegria, propria di quegli anni in cui il tempo è dilatato fino a sembrare quasi eterno, in quegli anni in cui ci si sente al centro del mondo, invincibili e unici.
Le mamme raccomandavano alle proprie figlie di non andare oltre il muretto che delimitava quasi il confine tra il lecito e l’illecito, tra la sicura vecchia morale e la nuova, incerta.
Guardo il lavoro di Vittorio Di Boscio e vedo dei ragazzi che sono addossati al muretto, soddisfatti della loro tranquilla posizione ed altri che cercano di scavalcarlo per vedere cosa c’è oltre.
Mi viene quasi da dire: “Coraggio vai, salta il muretto, liberati dalle paure e dalle false sicurezze che ti dona l’appoggiarti ad esso. Andare oltre il muretto significa avere la capacità di affrontare le difficoltà, superando la paura e mantenendo il controllo delle emozioni negative. Non si tratta di assenza di paura, ma di gestirla e agire nonostante essa. Questo implica un'analisi delle proprie paure, la loro accettazione e la scelta consapevole di agire per superarle, trasformandole in opportunità di crescita.
Avevo una quindicina di anni quando ho sperimentato cosa vuol dire veramente trasformare un ostacolo, il mio muretto, in forza mentale. Una forza che ora è diventata risorsa che posso utilizzare nella vita quotidiana nel perseguimento dei miei obiettivi.
È chiaro che la vita è fatta soprattutto di ostacoli, a volte più facili e a volte più difficili.
Ostacoli che possono essere situazioni da superare o stati emotivi dai quali non riusciamo a liberarci come ansie e paure.
Ci siamo sempre raccontati che il punto non è tanto l’ostacolo in sé ma come si decide di affrontarlo.
Solitamente quando ci si trova davanti un ostacolo si pensa subito al risultato perfetto che vorremmo ottenere e in tempi brevi. È come se andassimo troppo oltre senza passare dalla situazione.
In realtà quello che conta molto di più rispetto al risultato finale è tutto ciò che si può imparare durante il percorso.
Le emozioni hanno bisogno di essere vissute non controllate.
Solo quando le vivi puoi trasformarle. La trasformazione avviene in quanto il superamento fisico dell’ostacolo ti costringe a agire e tirare fuori tutte le risorse di cui hai bisogno, cosa che non accade solitamente quando si vivono situazioni emotive solo a livello mentale.
Se c’è una virtù al giorno d’oggi particolarmente trascurata, nel discorso comune e nell’educazione delle nuove generazioni, questa è il coraggio. Un tempo definito “la virtù delle virtù”, senza la quale nessun’altra è possibile, oggi appare antiquato, fuori moda, scomodo, forse pericoloso.
Colui che non salpa finché tutti i pericoli non sono passati non si metterà mai per mare. Bisogna avere il coraggio di andare oltre il muretto.
La società del benessere, che ha come massimi valori la sicurezza, psicologica e materiale, il confort, l’eliminazione di ogni rischio, dimentica facilmente il valore del coraggio.
Innanzitutto, il coraggio non è incoscienza, imprudenza o sprezzo del pericolo. Non è sfida per il gusto della sfida, o per dimostrare qualcosa a qualcuno, che è al contrario indice di insicurezza e conformismo. Il coraggio non è assenza di paura, ma resistenza alla paura, padronanza della paura.
Il coraggio a cosa serve?
Per rispondere in una parola, il coraggio serve a vivere. Il coraggio è la forza d’animo con cui si affrontano le difficoltà. E la vita è fatta di difficoltà. È ciò che ci permette di affrontare i rischi. E nulla di significativo può essere fatto senza affrontare alcun rischio.
Il coraggio è pensare fuori dagli schemi e dire quello che si pensa anche se contrario al sentire comune. È decidere e prendersi la responsabilità delle proprie scelte, senza delegare “Altri” a scegliere per noi.
Il coraggio è necessario per coltivare buone relazioni: nessun rapporto sano si basa sulla paura di essere sé stessi, di dire le cose come stanno, di esprimere le proprie emozioni, per timore di “far dispiacere” o “far arrabbiare” l’Altro.
Non ha veri amici chi ha paura di farsi nemici.
Passarono gli anni e la vita cambiò un po’ per tutti. In quegli anni ci davamo un tacito appuntamento al muretto e quando volevi vedere un amico, facevi un salto al muretto e, prima o poi, lo vedevi arrivare.
Arrivarono i telefonini, l’apertura di nuovi bar destinati ai giovani che ebbero in quelle sale il loro muretto. Nulla da vedere con il nostro. La voglia di vedersi, di incontrarsi, soprattutto di parlare degli anni del muretto fu sostituito dall’elettronica. Non più sorrisi e gioia di vivere ma i silenzi di persone che, sedute attorno ad un tavolo, tutte con lo smart phone in mano, parlavano con l’esterno trascurando gli amici vicini.
Guardare il lavoro dell’artista Di Boscio mi ha fatto ricordare con nostalgia i tanti pomeriggi di un tempo vissuti dai ragazzi di ieri e, con una sorta di imbarazzo, quello anonimi dei ragazzi di oggi e mi chiedo: “Che fine hanno fatto quei ragazzi del mio tempo giovanile?”
Alcuni si sono persi nell’anonimato di una vita grigia; altri hanno saltato il muretto e hanno vissuto esperienze a volte esaltanti, a volte meno, ma hanno, di sicuro, vissuto.
In conclusione posso ben dire che il muretto è stato il momento di passaggio dalla mia fanciullezza, fatta di amicizia vera e di semplici, ma ricchi momenti, di vita quando il poco che avevamo ci era più che sufficiente alla mia maturità in cui cerco di non farmi soffocare dalla mania di tutti di avere sempre di più per godere sempre di meno.