Pomeriggio a prendere aria e sole sul balcone di casa. Volgendo lo sguardo mi colpisce una immagine che l’amico fotoreporter Emidio mi ha realizzato: la chioma di una palma che fuoriesce da un ”mare di cemento”.

C’è una leggera brezza di terra che muove le sue fronde che pare mi vogliano dire qualcosa. Si sa che se riesci a entrare nello spirito della natura  puoi farcela a captare strane sensazioni ed essere in grado di capire che gli alberi parlano l’un con l’altro, e parlano a te, se li stai ad ascoltare.

Osservo in silenzio e guardo con attenzione le palme e il loro movimento ritmico, come un alfabeto morse: “Mi hanno rinchiuso nel cemento che è diventato il dio di questa città che sta tradendo più di una vocazione. Ma non mi soffocheranno. Riuscirò a pormi più in alto della loro stupidità, che pure è tanta, e continuerò a vivere.”  

Una palma con una chioma ridotta al minimo ma pur sempre viva. E i ricordi di una Pescara diversa mi colpisce nel cuore. Mi ricordo gli anni Cinquanta che furono quelli del massimo impegno nel costruire nuove abitazioni per una città che cresceva di numero in modo spropositato. Molti lasciavano la campagna e venivano a cercare lavoro in città. Si costruiva molto e il lavoro non mancava, soprattutto nel settore dell’edilizia che era quello che più facilmente occupava mano d’opera poco qualificata, ed è proprio lo sviluppo dell’edilizia privata, anche se disordinato e aggressivo, a rappresentare in buona parte il motore dell’economia pescarese in quegli anni.

Era l’occasione giusta per ricostruire Pescara non sul sogno delle ville e dei giardini di un tempo, considerando che c’era fame di alloggi per ospitare le migliaia di persone che vennero a stabilirsi in città.

Furono anni di incredibile impegno edilizio e crebbero di gran numero i “palazzinari” che, in molti casi, erano dei muratori che si erano trasformati in imprenditori. Di certo non avevano la cultura del bello, erano soggiogati dal dio cemento che portava denaro in quantità enormi nelle loro saccocce mai sazie.

La cultura del "bello" nel costruire le città è un concetto complesso che va oltre l'estetica, includendo anche aspetti funzionali, sociali e storici. Una città bella non è solo armoniosa, ma anche varia, intensa e capace di riflettere la sua identità, storia e la vita dei suoi abitanti. 

Ma Pescara, questo, non lo capì. Si sventrarono rioni interi, si abbatterono casa di due piani per sostituirle con palazzoni fino a dieci piani.

In questo fervore di costruire ci si dimenticò del termine “città giardino”, che puntavano a creare un ambiente urbano verde e vivibile, integrando natura e architettura. Invece no, cemento su cemento.

La cultura del bello nel costruire le città doveva implicare una visione olistica, che considerava l'estetica, la funzionalità, l'identità e la sostenibilità. Una città bella è una città che offre una buona qualità della vita, riflette la sua storia e cultura, e guarda al futuro con attenzione all'ambiente e al benessere dei suoi abitanti.

Ti guardi intorno e non vedi nulla, o quasi, che ci ricordi che Pescara ha una storia. Non ci sono monumenti, avevamo una piazza Salotto che è diventata una espressione di inettitudine, è diventata una delle piazze più anonime e brutte d’Italia. Un altro tradimento. Hanno cercato di risistemare il vecchio Campo Rampigna con l’idea di costruire un parco didattico archeologico... altro tradimento.

Lavorando sulla golena sud si ritrovò un mosaico che, a detta degli esperti, si trattava della più importante conferma degli antichi insediamenti alla foce del fiume Aterno. Nella figura spicca un’anfora con una croce uncinata, un capolavoro che risale a circa 1800 anni fa. Potrebbe essere stato commissionato intorno al I sec. d.C., e secondo gli esperti impreziosiva le sale di un edificio che sorgeva in posizione attigua al porto di Ostia Aterni.

Il mosaico doveva riemergere dall’oblio in cui era stato sepolto e messo a disposizione dei cittadini a testimonianza degli antichi insediamenti alla foce del fiume Aterno: Altro tradimento. Hanno fatto prima a riseppellirlo transennando la zona.

Ci siamo imbevuti di false aspirazioni artistiche con il calice di Toyo Ito esploso e dimenticato per anni in una cantina del Comune per poi averne riparlato per l’interessamento di un “mecenate” locale che vorrebbe risistemarlo in una zona di “sua competenza”. Altro tradimento.

Oggi la stupidità di alcuni amministratori cerca di inebriarsi parlando di grandi realizzazioni architettoniche puntando sul Ponte del Mare, un ponte ciclo-pedonale che collega le due riviere della città, quella nord e quella sud, attraversando il fiume Pescara. È il ponte ciclo-pedonale più lungo d'Italia ed è considerato un'attrazione popolare per la sua architettura moderna e la sua funzione di collegamento tra le diverse zone della città... e poi il Ponte Flaiano.

Se un visitatore di Pescara ti chiede cosa può vedere di bello ed interessante in città, possiamo ben dire dei due ponti e della Nave di Cascella, e vi sembra poco? (Spero abbiate colto l’ironia di questa domanda.)

Pescara città relativamente giovane e moderna che non soddisfa le esigenze dei giovani che non hanno spazi veri in cui esprimere la loro vitalità.

Continuo a guardare la “mia palma” e le sue fronde mi lanciano l’ultimo messaggio: “Si continua a tradire facendo solo consumo di parole, ma io continuo a puntare verso il cielo e guardare dall’alto i pigmei che si credono giganti.”