Lungomare di Porta Nuova e piacevole incontro con i coniugi Barteloni. Scambio di saluti, abbracci data la più che trentennale amicizia con Bruno e foto di rito con la signora Apolline Kalume Mateso.

Tutto normale, ma con Bruno la normalità non è di casa. Ha sempre vissuto come un libero pensatore affascinato dal Brasile e dalla capacità dei suoi abitanti di vivere alla giornata. Infatti Bruno ha sposato una suora africana e questa mattina è impegnato a celebrare un matrimonio.

Lui, giornalista, presentatore, scrittore e poeta con una verve eccezionale, lei a dodici anni suora dell’Ordine francescano di Nostra Signora del Monte, una scelta di vita compiuta per vocazione ma anche per sottrarsi agli orrori della guerra con le scorribande delle milizie armate di Uganda, Ruanda e Burundi fino alla Repubblica del Congo, paese di origine di Apo (nome che usano i suoi amici). 

La suora, nella Chiesa cattolica, è una donna che ha pronunciato voti pubblici e semplici di povertà, obbedienza e castità e che conduce vita fraterna in una congregazione religiosa canonicamente eretta dalla legittima autorità ecclesiastica.

I due giovani si incontrano in un particolare momento dello loro vita privata, scatta la scintilla dell’amore e Apo di dare una svolta decisiva alla sua vita, lascia l’Ordine e si sposa con Bruno. Il loro matrimonio è stato benedetto anche dal Papa.

Solo qualche decennio fa l’avvenimento avrebbe creato più di un chiacchierio nella nostra società che, maturata, ha saputo ben capire e sostenere la scelta dei due innamorati che ora vivono lavorando secondo le loro competenze: Bruno nel mondo della informazione, Apo in quello dell’assistenza ai bisognosi. Un modo non nuovo di vivere considerando che, da suora, questo era il suo impegno primario.

Con il matrimonio e con l’inserimento di Apo nel mondo del lavoro i due ragazzi hanno imboccato la strada giusta per la loro vita in comune.

Esiste però anche la realtà di chi ha intrapreso un cammino religioso e per qualsiasi motivo ad un certo punto se ne trova fuori. Non si tratta solo di sopravvivenza materiale, che è già una priorità assoluta, ma anche dell'aspetto emotivo e affettivo che va rimodulato e ricreato. Si tratta di provare a far ripartire una rete di affetti e di legami, magari lasciati prima della scelta vocazionale, e non più ritrovati all'uscita.

La maggior parte delle cosiddette «vocazioni» (non tutte le vocazioni sono senza virgolette) viene ormai dal terzo mondo povero e poverissimo, dall'Africa, dal Centro e dal Sud America, dall'Asia. Spesso la vera vocazione è sfuggire alla miseria, alla fame e ai pericoli della guerra, che è una costante per quei paesi.

Come dicevo il problema, prima che ideologico, è assolutamente pratico. Pensiamo ai casi normali come quelli di suore (magari straniere, come Apo) che hanno fatto parte di congregazioni o monasteri piccoli, che contano poche unità. Spesso, per entrare nell'ordine, hanno lasciato tutto.    

Ci sono tanti casi e tutti diversi. Bruno e Apo hanno formato una famiglia, in accordo con tutti i familiari, ma ci sono delle consorelle, con lo stesso problema di lasciare un monastero, che hanno il problema della convivenza laica. una consorella lasciare la comunità dopo vent'anni, per i motivi che siano, cosa può fare? All’inizio riceve l’aiuto canonico del suo Gruppo che l’aiuta per un anno dal punto di vista economico, e questo lo fa, ma poi?  

Per fortuna i miei due amici hanno risolto il loro problema e si sostengono vicendevolmente.

Dicevo di Bruno che doveva andare a celebrare un matrimonio.

Sì ai matrimoni celebrati da laici, il via libera è stato scritto nero su bianco dall'Istruzione del Vaticano, che ha recepito quanto deciso dalla Congregazione per il Clero. Anche i laici potranno celebrare le nozze, così come i battesimi e i funerali in via eccezionale.

Innanzitutto, è importante sapere che il matrimonio laico ha gli stessi diritti e lo stesso valore del matrimonio religioso, ma non viene celebrato da un rappresentante religioso riconosciuto dallo stato (come nel caso del matrimonio cattolico).

Per celebrare un rito civile non serve alcun corso, né titolo, né formazione specifica. Attualmente infatti la legge prevede che il sindaco possa delegare le funzioni di ufficiale di Stato civile a un altro cittadino italiano, in possesso di determinati requisiti.

Diventare celebrante laico e nello specifico celebrante di nozze è uno dei sogni che vanno per la maggiore nel settore dei matrimoni. E con ragione! Negli ultimi anni si è capito sempre più chiaramente che c’è bisogno di questa figura professionale, tanto più che i matrimoni civili sono ormai diventati la maggioranza.

Come si diventa celebrante?

Prima di tutto bisogna distinguere due ambiti: quello del rito civile e quello della cerimonia simbolica. Il rito civile è un atto pubblico, che dura circa tre minuti, e non contiene letture, promesse, scambio degli anelli, musica ecc. Alcuni comuni danno la possibilità di personalizzarlo un po’, ma si tratta di aggiunte o modifiche molto limitate.

Per celebrare un rito civile non serve alcun corso, né titolo, né formazione specifica. Attualmente infatti la legge prevede che il sindaco possa delegare le funzioni di ufficiale di Stato civile a un altro cittadino italiano, in possesso di determinati requisiti.

Per dirla in breve, se hai la cittadinanza italiana, sei maggiorenne e hai i requisiti per l’elezione a consigliere comunale, cioè hai il diritto di voto, hai già tutto quello che serve per rivestire questa carica.  Negli ultimi anni, vista la popolarità della professione, moltissime persone si prestano a celebrare i matrimoni.  

Non c’è una liturgia prestabilita, la cerimonia simbolica è completamente personalizzata e personalizzabile in base alla storia, spiritualità e personalità degli sposi.

Questo significa che, a parte alcuni elementi “standard” che quasi tutte le coppie vogliono come l’ingresso della sposa col papà, lo scambio delle fedi, le promesse…etc. tutto il resto dipende dalla fantasia degli sposi e del celebrante.

Non esistono due coppie uguali e non esistono due riti uguali. Possono essere simili, in alcuni casi, ma ogni cerimonia simbolica è a sé. E con Bruno Barteloni, detto Guarana, può succedere di tutto.

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