Quante volte ci siamo sentiti oppressi da un pensiero, a volte ricorrente, fastidioso, che sta lì a rovinarci la giornata.

Spesso è un pensiero che nasce dalla nostra fantasia, dal nostro essere in quel momento. Alcune volte è un pensiero altrui che ci colpisce e ci infastidisce.

Per essere una persona forte a livello emotivo, bisogna avere ben chiaro un concetto, ovvero che le cose non ci colpiscono a meno che non siamo noi a concedere ad esse questo potere.

Vale a dire, né le persone, né i fatti hanno la capacità di farci del male, perché non esiste una relazione diretta tra i fatti esterni e le nostre emozioni.

Se stiamo bene o male dal punto di vista emotivo, dipende sempre da cosa ci stiamo dicendo in quel momento.

Sono pienamente d’accordo con Elena Mannelli che, mi dice, allo stesso modo, quando qualcuno ci critica, ci giudica o pensa qualcosa di negativo su di noi, semplicemente sta esercitando il suo diritto al pensiero, alla valutazione, al giudizio, ma questo non significa che le sue parole o i suoi pensieri ci definiscano.

I pensieri degli altri sono degli altri e solo se ci crediamo, se li acquisiamo e li facciamo nostri, permetteremo che ci facciano del male o ci offendano.

“I pensieri sono solo pensieri”:

Appare, probabilmente, come una frase ovvia, banale e forse scontata, ma in realtà, se ci soffermiamo a “pensarci” e a comprendere il significato di queste parole, l’effetto nella nostra vita quotidiana, così come il sollievo della nostra sofferenza emotiva, può essere davvero importante.

Avviene  normalmente, ed è forse per questo che tendiamo a non accorgercene, che noi crediamo letteralmente al contenuto dei pensieri della nostra mente, come se fossero dati di realtà, “come se” fossero veri. Per cui, a ragione di questo agiamo, e ci comportiamo sulla base di questi e  cominciamo a mettere in atto una serie di meccanismi assolutamente controproducenti per cercare di “controllare” il contenuto della nostra mente.

Lasciare scorrere i pensieri ed accettarli per quello che sono, è il modo migliore per riuscire a liberarsene.

La mente umana è definita “vagabonda” perché sposta la nostra attenzione nel passato, facendo riaffiorare vecchi ricordi, e nel futuro, anticipando eventi che ancora devono verificarsi.

Ci spinge a pensare a quello che è successo ieri e a quello che succederà domani, allontanandoci inevitabilmente da emozioni, vissuti e situazioni che stiamo vivendo nel “qui ed ora”.

Oltre a ciò, la nostra mente tende a raccontare molte più storie negative che positive e questi sono definiti pensieri “sabotatori” perché ostacolano i tentativi di cambiare una situazione difficile o sperimentare qualcosa di nuovo.

Purtroppo la tendenza a identificarsi e assecondare questi pensieri genera stati di ansia, malessere e frustrazione.

La psicologia insegna che un pensiero è solo un pensiero: un insieme di parole e sillabe a cui siamo noi ad attribuire un determinato significato.

A questo punto, notando le reazioni a volte scomposte di personaggi che fanno parte della cronaca quotidiana, mi viene da suggerire, amichevolmente e senza supponenza, che gli altri hanno il diritto di pensare, criticare, giudicare, valutare ed esprimere opinioni su ciò che vogliono e che, per quanto ci facciano arrabbiare o infastidire, non potremmo mai cambiare questa cosa. Quello che gli altri pensano di noi non è affare nostro.

Non abbiamo il potere di influenzare gli altri o di fare in modo che cambino il loro modo di pensare, quindi è inutile reagire negativamente e in maniera esagerata perché non porterà a nulla se non a ricevere altre critiche.

Bisogna mostrarsi aperti e ascoltare tutti. Anche i giudizi negativi, a volte, possono insegnare qualcosa e aiutare a crescere.

Infine, vorrei suggerire a quel signore che imperversa sul mondo del calcio, e che reagisce spesso in modo antipatico alle critiche dei tifosi e dei giornalisti non aggreppiati, che quando si risponde a una critica, è importante mostrarsi sereni, sia a livello verbale sia a livello non verbale. Non vale rispondere con sarcasmo o con espressioni strafottenti o con minacce più o meno larvate di abbandoni , di mancanza di iscrizioni o d’altro. Questo dimostra solamente che la critica ha centrato il bersaglio e manda all’altra persona il messaggio “quello che pensi di me mi importa più di ciò che io penso di me stesso”.

Il nostro Ferguson avrebbe tutto da guadagnare se riuscisse a guardare l’altro tranquillamente negli occhi, ma senza sfidarlo, mantenendo una postura rilassata e sicura e dirgli chiaramente che può pensare quello che vuole e come vuole, anche se non siamo d’accordo e la pensiamo diversamente. Ma per riuscire a fare questo bisognerebbe essere persone mature e culturalmente preparate.

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